“vi sono stato credo meno di una decina di anni fa. Vi andavano le ragazze, mi si dice, a lavare e sciacquare i panni.
Per scendervi una volta presi un malanno alla gola per l’eccessivo respirare umidità in salita. Mi si dice che vi erano costumi che richiamavano l’antica Roma. Gli equi vi stanziarono. I coloni romani che dimoravano timorosi ed aggrediti dai nerboruti autoctoni che credo di lingua Osca nelle fertili radure del Corvaro, presero coraggio e si inerpicarono fin lassù: fondarono o ingrandirono Nersae. Secoli dopo, furono i guerrieri longobardi che da Spoleto sino alla Valle dei Varri e da lì ovvio discesero giù in questa fonte abitata da spiriti arcani alla fine benigni. Le ragazze – sempre bellissime a Baccarecce e sempre vezzosamente chiamate con poetici nomi, eufonici – non avevan paura: come le loro antenate andavan alla ricerca del bel guerriero violento. Mi si dice che era un prendere botte e vergate. Voleva dire che erano amate. Spesso dalle botte si passava ascose tra i boschi e l’amore diveniva ferace come la natura, i fiori, i prati, le erbe, gli alberi, gli uccelli tripudianti: Nessuna tragedia. Baccarecce prosperava. Alla Fonte l’amore alitava gioioso e generoso. Non giungeva sin laggiù l’arcigno veto all’amabile abbraccio.”
Si ringrazia Calogero Taverna per la condivisione